Disposte in una fitta griglia nel cortile del MoMA di New York, le vetrine ricordavano gli acquari o le gabbie di uno zoo. Non era un’immagine irragionevole: dietro il vetro, quei mobili e quegli oggetti mostravano la loro rarità come se fossero appena atterrati dallo spazio, un’ossessione molto ricorrente negli anni segnati dalla corsa allo spazio, dalle missioni Apollo, dal cinema intergalattico e dalla distopia immaginaria. entità provenivano, però, non da un altro pianeta, ma dall’Italia. Era il 1972 e la mostra Italia: il nuovo paesaggio familiare (Italia: The New Domestic Landscape), a cura dell’architetto Emilio Ambasz, ha cercato di catturare il presente turbolento e creativo del settore del mobile transalpino. Lo stesso Ambasz ha spiegato in catalogo i suoi dilemmi che circondano una mostra che “espone le contraddizioni e i conflitti alla base di una produzione febbrile di oggetti costantemente generati dai designer e che a loro volta generano uno stato di incertezza sul significato ultimo della loro pratica”. In altre parole, l’ossessione di progettare oggetti che siano più che semplici oggetti.
Mezzo secolo dopo, l’eredità di quello spettacolo sopravvive. La mostra non era solo una vetrina per creazioni stravaganti con contenuto politico; ha segnato anche l’approdo negli Stati Uniti di un collettivo di designer – da Mario Bellini a Ettore Sottsass, dai collettivi Archizoom e Superstudio alla carica concettuale di Gaetano Pesce, dall’artigianalità umanistica (e umoristica) di Afra & Tobia Scarpa al elegante di Gae Aulenti – che getterebbe le basi per un successo commerciale duraturo. la leggenda di disegno Italian è stato concepito nel dopoguerra con la leggera eleganza di Gio Ponti, ma lo scopo di questa mostra ne ha generalizzato il ruolo dirompente. Non erano anni di calma. Nel 1967 il Salone del Mobile, la fiera del mobile di Milano, era decisamente diventato internazionale. Ma solo un anno dopo, nella primavera del 1968, le proteste contro le politiche culturali del governo vanificarono l’apertura del festival Triennale, la cui sede era stata occupata dai manifestanti per diverse settimane.
Al MoMA, Ambasz ha cercato di fornire soluzioni fantasiose a un mondo imprevedibile e inquinato, più ossessionato dalle cabine delle missioni della NASA che dalle case convenzionali. L’architetto Gae Aulenti, in collaborazione con l’azienda specializzata in materie plastiche Kartell, ha progettato moduli abitativi a forma di tronco di piramide che l’utente può adattare per creare diverse tipologie di ambienti. Non era sola; quella sezione conteneva ambienti domestici condensati e trasformabili che ricordavano la recente Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa, una gemma metabolica a Tokyo che immaginava gli appartamenti come minuscole celle automatizzate.
Gli eventi attuali aleggiavano su ogni pezzo. Alla vigilia della crisi petrolifera del 1973, il designer Mario Bellini riflette sul problema dell’auto e, anziché eliminarlo, scommette su una riprogettazione completa che “avvii il riscatto di questo affascinante mostro meccanico”. Nel suo Kar-A-Sutra, prototipo sviluppato da Cassina in collaborazione con Citroën e Pirelli, proponeva di sostituire le anguste cabine delle berline con uno “spazio umano in movimento”. Per fare questo, piuttosto che imitare la disposizione di una roulotte – “una miniatura fedele e spesso grottesca di una casa di vacanza”, ha detto Bellini – ha optato per un unico spazio interno senza layout. In esso, sosteneva il designer, potresti fare di tutto, dal dormire o giocare a carte per sgranchirti le gambe o “fare l’amore in un modo non determinato dall’auto”. Tutto questo grazie ad una superficie dotata di ampi cuscini di un materiale plastico che riprende facilmente la sua forma.
Una tecnologia simile avrebbe dato legittimità a uno dei successi più smaglianti dell’epoca. Gaetano Pesce aveva ideato nel 1969 il sistema bancario Up, le cui prime versioni arrivavano compresse in una confezione piatta. Una volta disimballata, la sedia assumeva volume, in una resa quasi magica le cui forme evocavano il corpo umano.
I mobili erano sessualizzati e la plastica era il futuro. Lo usò lo stesso Bellini nel suo giradischi per l’azienda Minerva, semplice, colorato e leggero: “Il nonno dell’iPod”, il designer si è qualificato nel 2019 in un’intervista a La Repubblica. Nella versione più fantasiosa, i laminati in legno plastificato conferiscono ai mobili colori brillanti e superfici levigate. Nella mostra, il collettivo Archizoom ha presentato una serie di letti ingombranti dalle linee dritte con motivi che andavano dai mobili trompe l’oeil del XIX secolo alle imitazioni del marmo o del leopardo. Sono stati un bestseller per molti anni.
Il poliuretano è stato il materiale base per I Sassi, una collezione di sedie creata da Piero Gilardi per Gufram. Le loro forme e colori ricordavano una serie di rocce sparse per terra. Ispirazione geologica, ritorno all’origine o puntelli di Le selci? Per Gaetano Pesce è stato un misto di tutto quanto sopra. Non lontano dalle loro sponde, c’era un’installazione a forma di grotta preistorica dove Pesce aveva immaginato un futuro sito archeologico che potesse ricostruire nell’anno 3000 “l’era del grande inquinamento”, periodo da lui collocato nell’allora lontano anno 2000 Le sue previsioni alquanto catastrofiche oggi non sembrano così inverosimili.
A mezzo secolo da quella mostra, alcune icone del design italiano radicale sono ancora in produzione – anche se con tecniche migliorate e materiali più sostenibili – e brillano in molte celebri ristampe, come Up di Pesce per B&B Italia o il morbido divano Soriana di Afra. & Tobia Scarpa per Cassina. Tuttavia, l’influenza più duratura potrebbe essere stata proprio sul concetto di design e sul suo rapporto sempre arduo con i consumi in un momento in cui abbiamo già dato un nome al cambiamento climatico. Il design può risolvere le conseguenze del consumo sfrenato di oggetti di design? Mezzo secolo dopo, la domanda rimane.